10/06/2009

Parafrasi e analisi della poesia "Il passero solitario"

Il passero solitario

Parafrasi

Dall'alto della torre del vecchio campanile, tu, passero solitario, erri per la campagna cantando finché viene sera; e l'armonia regna nella tua valle. La primavera brilla tutt'intorno e si manifesta sui campi così vividamente che il cuore si intenerisce. Senti le pecore belare, le vacche muggire; e gli altri uccelli, contenti, compiono mille giri nell'aria festosa contenti, trascorrendo così il loro tempo migliore: tu, invece, guardi il tutto in disparte pensieroso; non ti piace la compagnia, non voli, non ti curi dell'allegria, eviti i divertimenti, canti solamente e così trascorri il periodo migliore dell'anno e della tua vita. Ahimè, quanto assomiglia il tuo costume al mio! Divertimento e spensieratezza, tenera famiglia della giovinezza, e amore, fratello della giovinezza, rimpianto amaro dell'età matura, io non curo, non so come; anzi fuggo lontano da loro; quasi estraneo al mio luogo nativo, trascorro la primavera della mia vita. In questo giorno di festa, che ormai giunge a termine, si usa festeggiare al mio paese per tradizione. Senti per l'aria serena il suono delle campane, senti spesso lo scoppio di colpi di fucile, che rimbomba lontano di paese in paese. La gioventù del luogo, tutta vestita a festa, abbandona le case e si sparge per le vie; e guarda ed è guardata, e in cuore si rallegra. Io, solitario in questa parte dimenticata della campagna, rimando a tempi migliori ogni gioco e divertimento: e intanto lo sguardo steso nell'aria soleggiata è ferito dal Sole che tramonta tra i monti lontani, dopo una giornata serena, e cadendo, sembra dileguarsi e che dica che la gioventù sta finendo. Tu, solitario uccellino, giunto alla fine della vita che il destino ti concederà, non ti dorrai della tua vita certamente; perché ogni nostro desiderio è frutto della natura. A me, se non mi sarà concesso di evitare di varcare la detestata soglia della vecchiaia, quando i miei occhi non susciteranno più nulla nel cuore delle altre persone, e il mondo apparirà loro vuoto, e il giorno futuro parrà più noioso e doloroso del presente, che sarà di questa voglia? Che sarà di questi anni miei? Che sarà di me stesso? Ah, mi pentirò, e più volte, mi volgerò al passato sconsolato.

Analisi

Il testo è impostato sul confronto fra il modo di comportarsi di un animale,il passero solitario,e quello del poeta,che con esso sente delle profonde affinità.

Nella prima strofa Leopardi si rivolge direttamente al passero,sottolineandone l’inclinazione alla solitudine e al volontario isolamento: in questo senso sono significativi gli aggettivi usati per definirlo,solitario e penoso.

Per definire il comportamento del passero l’autore lo definisce anche: solingo augellin.

Queste abitudini sono in contrasto con quelle dei suoi simili,che,soprattutto in primavera,socializzano festosi:gli altri augelli contenti,a gara insieme/per lo libero ciel fan mille giri,/pur festeggiando il lor tempo migliore.

L’autore descrive sin dall’inizio della poesia la primavera,si noti nella prima strofa:primavera dintorno brilla nell’aria,e per li campi esulta,sì ch’a mirarla intenerisce il core.

La seconda strofa si apre con una dolorosa esclamazione di consapevolezza:oimè,quanto somiglia/al tuo costume il mio! Il confronto si concentra sulle affinità tra l’atteggiamento del poeta e del passero. Leopardi fa uso degli aggettivi romito,strano,solitario,che trovano corrispondenza con quelli usati nella strofa precedente.

Anche l’ambiente dal quale il poeta si isola partecipa all’allegria primaverile: Odi per lo sereno un suon di squilla,/odi spesso un tonar di ferree canne,/che rimbomba lontan di villa in villa.

In questo caso la gioventù reagisce con festa lasciando le casa ed affollando le vie del paese:Tutta vestita a festa la gioventù del loco lascia le case,e per le vie si spande;

Viene descritta molto malinconicamente dal Leopardi,che di fatto subito dopo inserisce un paragone con se stesso:Io solitario in questa rimota parte alla campagna uscendo,ogni diletto e gioco indugio in altro tempo

La strofa conclusiva sposta nel futuro il confronto tra il passero e il poeta,quando la loro vita si avvierà alla conclusione. Se finora sono prevalse le affinità dei due, ora viene affrontato da Leopardi una differenza sostanziale: l’animale infatti,giunto alla fine dell’esistenza,non si pentirà dell’atteggiamento passato,in quanto esso è dovuto all’istinto;il poeta,invece,è consapevole che si pentirà di non aver vissuto pienamente e non potrà far altro che volgersi indietro con rimpianto.

Tu,solingo augellin,venuto a sera del viver che daranno a te le stelle,certo del tuo costume non ti dorrai [..] che parrà di tal voglia?che di quest’anni miei?che di me stesso?Ahi pentirommi,e spesso ma sconsolato,volgerommi indietro.

Il tormento interiore del poeta sembra emergere proprio da questa consapevolezza;egli infatti sa che si dispiacerà amaramente di non essere riuscito a vivere con pienezza la gioventù,ma questo non fa che rendere ancora più drammatico il suo isolamento.

Nella poesia emerge una riflessione sulla diversità fra uomo e animale,il primo caratterizzato dalla possibilità di scegliere,di pensare e quindi anche di pentirsi,il secondo caratterizzato solo dall’istinto,che non lascia spazio a scelte diverse da quelle dettate dalla natura.

L’autore riguardò ciò invidia vivamente il passero per la sua libertà sia fisica che d’animo e per la noncuranza che nutre per i suoi atteggiamenti,proprio poiché dettati dalla sua natura: Ahi pentirommi,e spesso ma sconsolato,vlgerommi indietro.

Formalmente,la poesia è una canzone composta da tre strofe,nelle quali sono presenti versi endecasillabi e settenari sciolti.

Primavera dintorno ; non compagni,non voli

D’in su la vetta della torre antica ; passero solitario,alla campagna

L’autore usa questi versi sciolti per dare più scorrevolezza al testo.

Il testo si presenta piuttosto semplice a una prima lettura,ma bisogna comunque rilevare la presenza di alcune figure retoriche che contribuiscono a rendere efficaci alcuni passaggi.

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